Al mio arrivo in azienda, arriva il camion del Latte che da lì a pochi km permette di iniziare le operazioni di trasformazione. Coincidenze?
Scherzi a parte vengo accolto da Giorgia, guida local molto preparata con la quale scambiai qualche parola al Bologna Cheese Festival con la promessa di venire in visita. Promessa mantenuta e rispettata in termini di aspettativa personale, anche superata.
Ma andiamo con ordine…
La Storia del Parmigiano Reggiano Dop, un viaggio di mille anni
I monaci cistercensi e benedettini furono i primi produttori, le aziende agricole dei monasteri ottenero un formaggio dalla pasta asciutta e dalle grandi forme, adatto alle lunghe conservazioni.
Le prime testimonianze di commercializzazione risalgono al 1200 dove un atto notarile del 1254 riportava che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era noto nella città di Genova così lontana dalla sua zona di produzione.

Nel 1400 in Emilia feudatari e abbazie concorrevano ad un aumento produttivo della pianura con conseguente sviluppo economico. Aumenta così la dimensione delle forme (fino a 18 kg l’una).
Nel XVI secolo si sviluppano le vaccherie a cui era annesso il caseificio per trasformare il latte del proprietario a cui si aggiungeva il latte delle stalle dei mezzadri, che aiutavano il casaro a turno in quello che diventò caseificio turnario. In quegli anni la produzione è presente anche nella provincia di Modena. La commercializzazione si espande.
Tutela del prodotto
Nel XVII secolo il Duca di Parma Ranuccio I Farnese ufficializza la denominazione d’origine con un atto del 7 agosto 1612, a tutela commerciale del prodotto. Nel documento vengon definiti i luoghi di produzione del formaggio che poteva chiamarsi di Parma.
Storia contemporanea
Il Parmigiano Reggiano nel corso dei secoli non ha cambiato le modalità di produzione, oggi avviene ancora in modo naturale, senza additivi. All’inizio del 1900 vengono introdotte innovazioni importanti come l’uso ancora attuale del siero innesto e del riscaldamento a vapore.
Il 27 luglio 1934, i rappresentanti dei caseifici di Parma, Reggio, Modena, Mantova (destra Po), si accordano sulla necessità di approvare un marchio di origine per il proprio formaggio.
Nel 1954 la legge italiana sulle denominazioni d’origine: il primo consorzio originario si trasforma nell’attuale organismo di tutela, il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano.
Nel 1996, il Parmigiano Reggiano viene riconosciuto come una DOP europea
Famiglia Bonati
Giorgio Bonati e il figlio Gianluca conducono l’azienda nella campagna parmense, famiglia alla quarta generazione. Allevano circa 100 vacche che producono latte trasformato in Parmigiano Reggiano. Nella gestione aziendale a ciclo completo, le vacche sono alimentate con il fieno prodotto dai campi di proprietà. Mangiano soprattutto fieno di prato stabile centenario, campi che si autorigenerano e che oltre a proteggere il territorio sono luogo di biodiversità.



La particolarità di questi prati stabili sta nel contenere erbe ed essenze introvabili nei prati di semina recenti, circa 60 tipologie foraggere diverse le quali conferiscono al latte e di conseguenza al formaggio alcuni sapori, profumi e aromi esclusivi. Il resto dell’alimentazione è costituito da miscele di cereali, mais, orzo e soia.
Entrati in caseificio con Giorgia salutiamo Ivan Bergianti, il casaro storico dell’azienda che è già alle prese con la lavorazione del latte.
L’azienda Bonati esce dalla Cooperativa di aziende agricole per una produzione propria e conto terzi. Circa 950/1000 litri di latte per caldaia (in rame). Per ogni caldaia dove si lavorano il latte della sera con quello del mattino ne escono due forme, le cosiddette gemelle. Viene utilizzato il siero innesto a 30° C.
Il latte del mattino e della sera precedente vengono versati nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata. Per ogni forma di Parmigiano Reggiano occorrono circa 550 litri di latte. La coagulazione del latte avviene lentamente e naturalmente grazie all’aggiunta di caglio e del siero innesto ottenuto dalla lavorazione del giorno precedente e ricco di fermenti lattici naturali.
La cagliata viene frammentata dal maestro casaro in minuscoli granuli grazie ad un antico attrezzo detto spino. E’ a questo punto che entra in scena il fuoco, per una cottura che raggiunge i 55 gradi centigradi, al termine della quale i granuli caseosi precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa.
Dopo circa cinquanta minuti il casaro estrae la massa caseosa che darà vita a due forme gemelle. Tagliato in due parti e avvolto nella tipica tela di lino, il formaggio viene immesso in una fascera che gli darà la sua forma definitiva.
La cagliata di circa 100 kg si forma e adagia sul fondo della caldaia. Mediate l’utilizzo di una telo si riporta in superficie per uno sgrondo iniziale del siero e la divisione della cagliata in due forme gemelle appunto e nuovamente fatte sgrondare.
2/3 giorni dopo in fascere di acciaio inox ; 15/20 giorni in salamoia dove il sale penetra per 2 cm circa. 5/6 mesi di attesa perchè il sale arrivi al cuore della forma.
Dopo aver affidato le forme al loro meritato riposo in salamoia, diamo uno sguardo al luogo di stoccaggio e stagionatura ove avviene una fase molto importante e al tempo stesso affascinante, l’espertizzazione.
Espertizzazione
Trascorsi 12 mesi, gli esperti del Consorzio controllano tutte le forme attraverso un esame chiamato “espertizzazione”: la forma viene percossa con il martelletto e l’orecchio attento dell’esperto battitore riconosce eventuali difetti interni che possono interferire con la qualità.
Le forme che risultano idonee vengono marchiate con l’apposito bollo a fuoco diventando così Parmigiano Reggiano. Alle forme che non presentano i requisiti della Dop vengono asportati i contrassegni e i marchi di riconoscimento.

Unicità e differenze con il Grana Padano Dop
Come abbiamo già visto l’alimentazione delle bovine è fondamentale per l’unicità di questo prodotto: erba medica, prati stabili e foraggi secchi trasferisconi i batteri lattici “buoni” dall’erba all’animale fino al latte e quindi al formaggio, da quasi mille anni. Senza l’uso di foraggi insilati o fermentati previsto invece nel Grana Padano.
Ulteriore elemento di distinzione tra Parmigiano Reggiano e Grana Padano è la zona di produzione, quella del Parmigiano è più circoscritta: le provincie di Parma. Reggio Emilia, Modena, Mantova (destra Po) e di Bologna (sinistra Reno). Il Grana Padano può essere prodotto da caseifici in 33 provincie fra Lombardia, Veneto, Piemonte Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige (prov. di Trento e Bolzano).
Altro elemento distintivo sta nelle produzione senza additivi per il Parmigiano Reggiano laddove per il Grana Padano è ammesso l’utilizzo del Lisozima, proteina estratta dall’albume delll’uovo che consente di controllare le fermentazioni indesiderate.
L’utilizzo esclusivamente di siero innesto naturale come starter batterico nei caseifici del Parmigiano Reggiano si differenzia dal Grana Padano dove sono ammessi, nel limite di 12 volte l’anno anche batteri lattici isolati in laboratorio da siero innesto naturale dei caseifici.
Se si parla di stagionatura minima per il Parmigiano Reggiano è 12 mesi, può raggiungere lunghe stagionature (24, 30 mesi e oltre) e il consumo medio è oltre i 24. Il Grana viene marchiato a 9 mesi e il consumo medio è a 15 mesi.
Ultimo dato riguarda i dati di produzione, dato del 2019: 3 milioni e 700 mila forme di Parmigiano Reggiano prodotte in 321 caseifici, 5 milioni e 160 mila forme di Grana Padano in 128 caseifici.
La storia del Parmigiano Reggiano DOP e della famiglia Bonati non finisce di certo qui.